giovedì 25 novembre 2010

Breve storia della ristorazione cinese a Torino (della serie: da dove veniamo, chi siamo, dove andiamo...)

La comunità cinese di Torino è la più antica d'Italia e la terza d'Europa dopo Parigi e Londra, figlia di quegli operai cinesi importati durante la I Guerra Mondiale come lavoratori nelle fabbriche svuotate dai giovani, soprattutto francesi, mandati a concimare le trincee. E' ancora possibile, per i più curiosi, visitare il primo negozio cinese aperto in città e sito sotto la Galleria Umberto I - interessante specialmente per i giochi da tavolo orientali e le ceramiche. Ad essa si aggiunsero poi le ondate degli anni '60-'70 provenienti da Hong Kong e dal Sudest asiatico e degli anni '90 dalla Cina costiera.
Il mondo dei ristoranti cinesi in città ha subito, nel corso dei decenni, diverse evoluzioni, senza la comprensione delle quali non se ne capiscono le caratteristiche di oggi. A cavallo tra i '70 e gli '80 aprono i primi locali storici: King Hua, Hong Kong, Mister Hu, Via della Seta e Zheng Yang. La cucina ed i prezzi erano su livelli non proprio popolari e, forte la loro novità e rarità, costituivano un vero ed esotico diversivo alla stagnante situazione gastronomica degli anni cupi.
All'inizio degli anni '90, i successi commerciali dei pionieri spingono altri imprenditori cinesi a buttarsi nell'industria della ristorazione. L'offerta è più che decuplicata ed i prezzi crollano a fronte di una concorrenza agguerrita in tutte le circoscrizioni. L'altro lato della medaglia è però un generale abbassamento della qualità e del decoro dei locali. I cuochi di questa generazione sono in maggioranza autodidatti ed ex contadini, scappati dalle espropriazioni seguite all'industrializzazione della provincia cinese di Zhejiang, luogo di provenienza del 95% della comunità orientale di Torino.

Tra la seconda metà degli anni '90 ed i primi del XXI secolo la marea montante dei kebabbari si sostituisce al ristorante cinese come fornitore di pasti easy ed a basso costo nei quartieri come in centro. Molti dei cinesi aperti durante il boom chiude o, meglio, riconverte i propri investimenti per seguire la nuova moda ed impiega personale magrebino o egiziano.

Nel fermento e nella rinascita di Torino degli ultimi anni si assiste a due trend separati: la sostituzione completa (nel caso di Hong Kong, diventato Sakura) o parziale di nomi storici della ristorazione cinese con menù giapponesi e dai rislutati perlopiù modesti e la mancanza di aperture di nuovi locali.
Il settore soffre, a mio avviso, di una certa letargia rispetto alla doverosa evoluzione verso una ristorazione di qualità, che punti sulla tradizione più autentica delle cucine regionali, sull'uso di ottime materie prime e su una strategia di marketing che dissipi la nebbia di stereotipi che ancora avvolge i ristoranti cinesi.

Certo è, che scandali più o meno recenti, come la notizia del 7/11 della denuncia del proprietario del Ben Da in pieno Quadrilatero Romano (!!!) in seguito alla scoperta di una sessantina di chili di merce avariata tra carne e pesce,non possono che far riflettere sul bivio di fronte al quale si trova la cucina cinese locale. Personalmente, spero che l'intelligenza imprenditoriale di alcuni operatori (guarda caso, tutti "grandi vecchi") del settore possa fungere da esempio per il rilancio dell'immagine in una città che si apre al mondo e che si aspetta molto dai suoi figli.

Forse, vedremo...