lunedì 13 dicembre 2010

Ristorante Hai Jing

L'intraprendenza dei Cinesi è invidiabile, e quella dei proprietari del Ristorante Hai Jing lo è ancora di più. Non solo resistono da anni in una location come Piazza Bengasi ma hanno addirittura allargato l'attività con l'apertura di un piccolo hotel adiacente al loro locale.
Resistono da così tanto tempo, però, che si sono mummificati. Sì, con l'immancabile puzza di fritto che impregna vestiti e capelli, con i lanternoni finto-antichi che non avrebbero sfigurato in un bordello della Hong Kong degli anni '20 e le decorazioni floreali in vera plastica.
Quello che c'è di nuovo è un buffet all you can eat a 10,90€ - abbastanza deprimente - ed una carta sushi che non ho nemmeno voluto aprire dopo aver dato uno sguardo ai tranci usati per le preparazioni.
Tutto, e dico tutto, il resto sembra non aver risentito dello scorrere del tempo. Il menù rimane banalotto, non negativo, solo banale con qualche sparuta pietanza thai ed una presunta lista di specialità che in altri locali sono considerati ormai piatti ordinari.
Avendo deciso di provare l'Hai Jing dopo una sessione di shopping natalizio nella vicina 8Gallery, eravamo quindi ben disposti verso la cena ma, sinceramente, non siamo riusciti a trovare nulla che ci abbia convinto a ripetere l'esperienza una seconda volta.
Abbiamo ordinato: ravioli di gamberi al vapore, riso ai fiori di loto, spaghetti di soia ai frutti di mare, cestino di patate e frutti di mare, vitello con zenzero e cipollotti e gamberoni arrosto.
La mia ragazza ha trovato i ravioli di buona fattura anche se erano piuttosto grossi e dalla pasta abbastanza spessa, quindi voto discreto.
Discorso un po' diverso sui primi. Le cozze vanno raschiate. Non è una pretesa da fighette, i cirripedi che incrostano le conchiglie sono veicolo di numerosi batteri che la breve cottura nel wok non necessariamente uccide. Quelle che costituivano il (magro) condimento degli spaghetti di soia della mia lei parevano la chiglia di una nave dopo tre settimane di fonda nella Baia dei parassiti mutanti.
Il riso è stata poi un'esperienza comica: se uno ordina riso con fiori di loto, si aspetta logicamente un riso saltato accompagnato dalla dolcezza dei boccioli carnosi di questa ninfea. Questo secondo la logica. Secondo invece il genio un po' folle dello chef, si tratta di insipido riso alla cantonese scotto nella foglia di loto, che nella traduzione inglese del menù è diventato rice flour lotus...un po' come carta, pietra, forbice!
Deludente il cestino di patate con frutti di mare, ridottisi a qualche gamberetto scongelato e le immancabili cozze ai parassiti, l'involucro, poi, era assolutamente immangiabile e reso molliccio da una salsa scura non identificata.
O io non capisco l'italiano oppure ci deve essere qualche problema quando i famosi gamberoni arrosto arrivano fritti in una leggere pastella...
L'unico spiraglio di luce dell'intera cena è stato il vitello che si sposava alla meraviglia con la julienne di zenzero ed i cipollotti affettati. In cucina dovrebbero solo ricordarsi che, se non si vuole che il cliente si ustioni le mani e si unga i vestiti, non si dovrebbe riempire il piatto di ferro con olio sbordante prima di portare tutto in tavola.
Per finire, gelati confezionati alla grappa di rose e al lychee, farinoso come la brina sul parabrezza della macchina alle cinque di mattina.
39,70€ alla cassa, digestivo offerto e tessera punti, il cui unico stampino non riceverà mai la visita di un suo simile.
Ultima cosa, comodo il parcheggio nelle ore serali, mentre a pranzo potrebbe essere complicato per via del mercato.

Servizio: 3/4
Cibo: 4/9
Locale: 4/6
Effetti collaterali: No

Giudizio finale: 12/20 - Bettola

Ristorante Cinese Pensione Hai Jing
Piazza Bengasi 15
10127 - Torino
011/6061693
Aperto tutti i giorni

sabato 11 dicembre 2010

Vermicelli Tirati a Mano Saltati - Shou Laghman - لەڭمەن



La pasta è nata in Italia, falso. La pasta è nata in Cina, falso pure questo. La maccheronica (in tutti i sensi) diatriba sulla paternità della pasta, ha trovato recente composizione nelle scoperte fatte da un team di archeologi cinesi in un'area remota dell'Asia, nota come Qinghai. Tra i reperti portati alla luce da una tomba vecchia di 4500 anni, figurano infatti tagliolini di grano ed acqua. Lajia, luogo del ritrovamento, è da sempre nodo nevralgico della via della Seta ed è molto probabilmente il luogo di nascita di quella meravigliosa idea, che incamminatasi al seguito delle carovane è giunta a rivoluzionare le abitudini alimentari e la cultura di un'intero continente dalla Cina del Nord al bacino del Mediterraneo.
Questa antica ricetta sopravvive ancora nella cucina regionale dello Xinjiang, dove è nota col nome turco di Laghman, che significa semplicemente pasta tirata a mano.
Si tratta di sostanziosi vermicelli, leggermente più spessi dei nostri bigoli o pici, che possono essere serviti in minestra o saltati nel wok.
Non vanno confusi con i La Mian, che sono di origine hui (cinese musulmana) e che vengono preparati in maniera spettacolare tirando fili di pasta lunghi come una gamba.
Realizzare questo piatto è stato un po' un parto, vuoi per ricette inesistenti o completamente errate (Chef Tomm te possino), vuoi per la mancanza della mitologica farina dura cinese, piena di glutine che pare non esistere in nessun buco dell'emisfero Occidentale.
Alla fine il (poco)eroico me stesso e la sua impagabile compagna sono riusciti a spuntarla ed a servire un primo apprezzato da tutti gli ospiti.


Shou Laghman

Per 6 persone

400g di farina tipo 00
225ml d'acqua
50g di maizena (o qualunque altro amido)
1 cucchiaino di bicarbonato di sodio
1 cucchiaio di olio di sesamo (facoltativo)


2 peperoni verdi
2 cipollotti
7-8 asparagi
150-200g di polpa di agnello
1 cucchaio di concentrato di pomodoro
olio di semi
1 spicchio d'aglio
2 cucchiai di cumino macinato
1 cucchiaino di cannella in polvere
sale e pepe q.b

La mancanza di farina dura mi ha costretto ad intervenire sulla farina tipo 00, per arricchirla artificialmente di glutine, e renderla cosi più resistente alla filatura. Il rapporto amido-farina è 1:8 ma potrebbe essere volentieri incrementato, mentre quello acqua-parti solide è 1:2.
Mescolate in una boule la farina, l'amido, il bicarbonato e l'olio di sesamo. Aggiungete a filo l'acqua ed impastate energicamente.
Lavorate il panetto ottenuto per una quindicina di minuti almeno, per scaldare l'impasto e permettere all'amido di ben miscelarsi all'interno della farina.
Infine, avvolgetelo nella pellicola trasparente e lasciate riposare mezz'ora almeno.
Ricavate dall'impasto tre parti e cominciate a lavorarle fino ad ottenere tre lunghe trecce, che avvolgerete a spirale e farete riposare 15 minuti sotto la pellicola.



Portate a bollitura abbondante acqua non salata in una pentola o nel wok.
Da ogni treccia tirate con le dita dei vermicelli lunghi come un avambraccio e spessi circa 3mm.
Buttate subito i laghman nell'acqua bollente e fate cuocere per un 3-4 minuti - anche se le tempistiche possono variare e vale sempre la prova assaggio.
Scolate la pasta e mettetela a raffreddare in contenitori unti, per evitare che si incolli.
Poichè questa pasta va cotta immediatamente dopo la preparazione, cuocetene piuttosto poca per volta.

Tritate l'aglio ed i cipollotti e fateli soffriggere in olio vegetale (non oliva per carità) insieme al cumino, al pepe ed alla cannella.
Separate la parte coriacea degli asparagi da quella tenera ed affettateli a rondelle, tranne la punta che va lasciata intera. Versateli nel wok seguiti dalla polpa d'agnello che avrete tagliato a straccetti - in alternativa va bene anche la carne di bovino.
Affettate i peperoni a listarelle non troppo sottili ed aggiungeteli al sautè. Coprite con un mestolo, un mestolo e mezzo d'acqua già calda, il concentrato di pomodoro e lasciate cuocere finchè l'asparago non si è intenerito ma ancora croccante. Per addensare un po' i liquidi, mescolate un cucchiaino di maizena.
Fate saltare i laghman nel wok e serviteli caldi.


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martedì 7 dicembre 2010

Gamberoni Con Lychee - Lìzhī Dà Xiā - 荔枝 大虾



Guangdong, terra benedetta da un clima tropicale che permette tre raccolti l'anno ed affacciata sul pescosissimo Mar Cinese Meridionale che regala alle tavole di mezza Asia molluschi e prelibatezze.
Il popolo cantonese, conscio di tale  abbondanza, che non deve fare i conti con i rigori dell'inverno e lo spettro della siccità, ha saputo generare una cucina fresca, che ripudia l'uso esagerato di condimenti - visti come mezzo per camuffare il rancido - ed il cui raggio d'azione spazia praticamente su qualunque sostanza vegetale ed animale (che sta all'origine dei ben noti stereotipi sulla dieta dei Cantonesi).
Sull'interessante ricettario di Little Ma, ho trovato una ricettina che permette di abbinare in un solo piatto il pescato con la dolcezza della frutta tropicale.
Il wok, per i piatti di origine cantonese, è fondamentale perchè è l'unica padella a poter sviluppare alte temperature in pochissimo tempo, e quindi consentire di cuocere brevemente gli ingredienti per non alterarne sapore e nutrienti. I lychee sono anche l'unico abbinamento con i gamberoni che non ne distrugga i nutrienti, in quanto poveri di acido tannico (che si lega al calcio, rendendolo insolubile). Se decidete di usare gamberetti, mi sento in dovere di chiedervi di comprare esclusivamente prodotti europei, perchè il loro allevamento in zone tropicali, ha portato alla distruzione del 40% della foresta di mangrovie in 20 anni (non lamentiamoci poi che lo tsunami non ha trovato barriere naturali in posti come lo Sri Lanka!). Se proprio non doveste trovare altro che mazzancolle tropicali, cercate di comprare quelle provenienti dal Madagascar o dal Centroamerica, in quanto Paesi attenti a queste problematiche ed utilizzatori di metodi d'allevamento moderni, ad impatto ridotto.




Gamberoni Con Lychee

Per due persone come piatto unico

250g di gamberoni freschi (il peso s'intende lordo)
250g di lychee
4-5 germogli di bambù
1 cucchiaino di MSG (glutammato monosodico)
1 peperoncino thai
1 spicchio d'aglio
1 pollice di zenzero
1 cucchiaio di maizena
1/2 bicchiere di vino di riso Shao Xing

Pelate con dorso di un cucchiaino la radice di zenzero ed affettatela. Pelate uno spicchio d'aglio e tagliatelo a pezzi insieme ad un mediamente feroce peperonicino thai (lo trovate anche etichettato come bird's eye pepper - chissà perchè? a me sembra al massimo il becco di un uccello, mah..).
Sgusciate i gamberoni e, con un coltellino, svenateli del filetto dorsale nero. Tagliateli a pezzi grossi quanto un boccone. Della stessa misura tagliate i germogli di bambù ed i lychee, sgusciati e denocciolati.
Prestate attenzione a che tutti gli ingredienti abbiano la stessa dimensione, per poterli cuocere tutti allo stesso tempo.
Fate scaldare 4-5 cucchiai d'olio vegetale (l'importante è che non sia d'oliva e che sia leggero) nel wok. Aggiungete zenzero, aglio e peperoncino affettati. Quando sono rosolati, eliminateli aiutandovi con un ragno.
Versate nel wok i lychee, i gamberoni ed il bambù, fate saltare mescolando sempre per evitare che gli ingredienti brucino o si attacchino al fondo.
Sfumate con mezzo bicchiere di Shao Xing (in alternativa potrebbero andare bene lo sherry secco ed il porto ma non la Marsala), mescolate insieme il MSG e la maizena per addensare il sughetto profumato.
Accompagnate con riso a chicco lungo (ideale il basmati) al vapore o bollito.


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lunedì 6 dicembre 2010

Miscela Delle Cinque Spezie



Non v'è al mondo gastronomia che abbia dedicato al rapporto cibo-salute, non solo fisica ma anche psicologica, un tale interesse come la tradizione cinese. Non è un caso che i primi testi in cui si possano trovare elementi di cucina, siano le pagine mediche degli Annali delle Primavere e degli Autunni, risalenti al III secolo a.C.
La farmacopea cinese, come e più di quella galenica antica, ritiene la composizione dei contrasti elemento fondante della buona riuscita sia di un piatto che di una terapia medica.
A spanne ed a morsi, lo studio di centinaia di anni si può ridurre a cinque elementi organolettici attraverso i quali vengono classificate erbe e componenti naturali: acido, pungente, dolce, amaro e salato. Ogni spezia, ogni piatto, ogni rimedio è un melange di almeno due di questi aromi.
Non mi ero mai chiesto fino a che punto tale pratica fosse pervasiva in cucina fino a quando non lessi per caso il menù appeso all'esterno di un posticino a Porta Palazzo, che a breve proverò con la mia compagna di avventure preferita...
Che sia stata sbadataggine d'apprendista, piuttosto che un ben congeniato esperimento, la pietra filosofale della cucina cinese riassume in sè tutte le proprietà aromatiche di questa antica tradizione: si tratta della famosa Miscela delle Cinque Spezie, di cui oggi esistono infinite varianti in termini di tipologie e numero di ingredienti.
La formula base, che di seguito spiego, è composta da pepe del Sichuan (pungente), semi di finocchio (acido), cannella (dolce), chiodi di garofano (salato) ed anice stellato (amaro).
Sebbene si trovi in commercio ormai anche negli squallidissimi angoli "etnici" della grande distribuzione è sinceramente più salutare, divertente ed economico, recuperare gli ingredienti in un asia market e farsela da



Miscela delle Cinque Spezie

Per la capacità di un vasetto di alici

2 cucchiaini di pepe del Sichuan
8 pezzi di anice stellato
1/2 cucchiaino di chiodi di garofano
1 cucchiaio di cannella
1 cucchiaio di semi di finocchio.

Nel caso del pepe di Sichuan, per orientarvi nell'intrico delle etichette etniche e di quelle apposte alla dogana, usate come riferimento i termini cinesi  huājiāo - pepe fiore, per via del profumo e della forma del baccello- e quello scientifico Zanthoxylum.
Se il pepe è fresco - baccello chiuso - fate tostare i grani per tre minuti in un padellino asciutto, finchè non si sprigionerà un intenso aroma fruttato, come di citroni.
Usate solo l'involucro rosso - le bacche nere hanno un sapore aspro e sabbioso - e macinateli insieme al resto degli ingredienti.
La procedura può richiedere una decina di minuti anche con il frullatore elettrico, per via della diversa consistenza delle parti.
Ne risulterà, oltre ad un fumo perenne che avvolge una lama surriscaldata ed esausta, una polvere fulva dal fortissimo aroma di tutto ciò che ricorda l'Oriente: fragranti pinete d'alta quota, risaie alternate a piantagioni di canna da zucchero, mercati serali, l'aria solleticante di uno speziale in un vicolo tra gli hutong di Xi'An..va bene me ne sono sniffata troppa....di miscela.
Nonostante questa preparazione sia il condimento essenziale di quasi tutti i piatti di carne della cucina cinese, usatene pochissima per volta, perchè l'aroma a crudo - figuratevi in cottura - è veramente importante.

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Ristorante Picchiarello

Non ho nulla contro i locali da pausa pranzo: sono funzionali alle esigenze dei lavoratori degli uffici e degli studenti del vicino Politecnico, nulla più. Basterebbe proporre una cucina decente, con servizio rapido e conto onesto ma, almeno per il primo punto, il Ristorante Picchiarello toppa clamorosamente.
Il locale è uno di quei cinesi frappè, nel senso che serve un po' di tutto, cucina italiana, cucina cinese e pizza anche a pranzo. All'ingresso ci accoglie un ambiente moderno, da caffetteria ben tenuta ed un lieve profumo di frutti di mare..bene, bene.
La sala si compone di uno spazio al livello della strada ed uno sopraelevato che, a dire il vero, per persone disabili potrebbe procurare non pochi problemi, visto che si raggiunge con dei gradini molto stretti.
Nonostante l'offerta di due menù fissi (solo a pranzo) a 5 ed 8,50€, io e la mia ragazza scegliamo direttamente dalla carta che, a dire il vero, non si scosta per nulla dallo standard very basic dei cinesi mediocri.
La zuppa di wonton a differenza della Città d'Oro è discreta, con il brodo di vera gallina (anche se un po' troppo forte il grasso), le verdure croccanti ed i raviolini molto sottili ma leggermente scotti, soprattutto ai bordi della caramella.
I ravioli di carne al vapore, pur non facendo urlare al miracolo si fanno mangiare. Il ripieno classico di maiale non è sovrastato eccessivamente dallo zenzero come succede in altri locali, come edibili risultano anche essere quelli ripieni di verdure, un po' mosci, e quelli di gamberi.
Il servizio è cortese ma troppo veloce, le comande si accavallano una sull'altra cosicchè io arrivo alla pasta mentre la mia lei sta ancora finendo l'antipasto...
I miei spaghettini di grano saltati con carne arrivano abbondanti sul piatto di ferro. Pur essendo visibilmente preconfezionati non sono male, mentre gli gnocchi di riso con i frutti di mare alla piastra della mia ragazza sono un po' troppo collosi.
Un'ulteriore portata di spaghetti di riso ai frutti di mare scorre via senza lodi e senza infamie.
Fin qui niente di particolare da segnalare, ma il meglio sta per giungere.
L'ordine della mia ragazza, pollo in agrodolce, arriva affogato in una broda rossa con pezzi (tagliati alla famosa CdC) di peperone. La salsa, il cui sapore varia tra la passata di pomodoro Gorilla e il mal di mare, sommerge un universo di asteroidi avicoli irrorati precedentemente con succo di limone, per nascondere un poco felice stato di conservazione. Li abbiamo lasciati a nuotare nell'agrodolce(?) come piranha OGM.
La mia carne mista nella pentola di terracotta, rincuora un po', servita com'è nel tegamino scuro e fumante di funghi e verdure. Ad un primo assaggio del contorno, tuttavia, il sugo si rivela troppo pesante (ancora un po' di maizena e ci si faceva malta da costruzioni con quel bambù) ma non osceno, come invece la carne. Gli straccetti più scuri hanno un sapore indefinibile e maligno, mentre la parte più chiara è il nostro vecchio amico pollo al Mastrolindo!
Arresisi alla carne marziana, due sconsolati avventori oltrepassano il dehor del Picchiarello per non farvi più ritorno.
Conto low cost, 30€, ma soddisfazione meno che proporzionale al poco pagato.

Servizio: 1/4
Cibo: 3/9
Locale: 5/6
Effetti collaterali: No

Giudizio finale: 10/20 - Grosso Guaio Al Drago Rosso (se ordinate carne, ocio!)

Ristorante Pizzeria Picchiarello
Corso Ferrucci 52
10138 - Torino
011/4344260
Aperto tutti i giorni

giovedì 2 dicembre 2010

Ristorante Città D'Oro


Come si dice? L'apparenza inganna? Nel caso del Ristorante Città D'Oro il proverbio della nonna è più che azzeccato. Quando ieri sera ho deciso di provare questo locale come primo banco per le recensioni del blog, l'ho scelto per un semplice motivo: la modestia.
Non intendevo cominciare questa guida come iniziano certe collezioni da edicola (ebbene sì, sono anche io tra quelli che ha fatto spendere ai miei genitori il PIL di un piccolo Stato africano in francobolli, carri armati ed aeroplanini), la cui prima uscita era il pezzo forte dell'intera serie. Sarebbe stato troppo facile (ed anche banalotto) pubblicare una serata speciale da Zheng Yang o le lodi per i piatti invernali del Via Della Seta.
Videochiamo la mia ragazza e le propongo un posticino sconosciuto a chiunque in Torino non sia di Vanchiglia: sia mai che si scopra una gemma nascosta, incastrata nei palazzoni tra la Dora ed il Po...
L'idea che mi ero fatto di ordinario cinese si dissolve per un attimo all'ingresso: ambiente curato, mancanza di dragoni in simil-plastica con le palle in mano (quelle tipo sfere di Dragon Ball), toni pastello e controsoffitto a volta in mattoni da trattoria, mi fanno ben sperare.
Accomodati al tavolo, ci rendiamo conto però che si è trattato di un attimo davvero : il menù è scarso, con i piatti di ispirazione italiana mescolati a quelli cinesi, e questi ultimi privi di particolare estro o fantasia. Tutto, e dico tutto, compresi gli antipasti, porta in alto a sinistra il famigerato asterisco che significa surgelato...che nemmeno Bofrost...
La velocità e la gentilezza del cameriere ci infondono ancora un po' di fiducia. Prendiamo nell'ordine: involtini vietnamiti, ravioli di gamberi (shao mai), zuppa di wonton, spaghetti croccanti con verdure, pesce stufato alla cinese, anatra con funghi e bambù ed anatra in agrodolce.
Alla mia ragazza gli involtini vietnamiti (versione carnivora di quelli primavera) piacciono ma, ciò nonostante, non è riuscita ad identificare che razza di carne costituisse il ripieno (noi pensiamo ad una sorta di ibrido maledetto tra ratto e piccione). La texture rivela che il fritto è sì espresso ma anche che si tratta di un prodotto surgelato...tutto accompagnato da una salsina che appariva come una demi glace di Oransoda.
Gli shao mai sono evidentemente una rielaborazione dadaista del concetto di base: ognuno tende a rovinare verso l'esterno in maniera diversa, chi collassa, chi esplode per il troppo ripieno, chi raggrinzisce dopo una lunga vecchiaia in una cella frigo (fa sorridere pensare che il significato cinese del loro nome sia "preparare e servire all'istante").
Trotterellando, il cameriere dalla tinta di Vanna Marchi ci porta due scodelle nelle quali s'è consumata una tragedia: poveri resti, letteralmente brandelli, di wonton affiorano da uno scuro brodo a base di dado e salsa di soia. Mangiarli diventa come cercare di rimettere insieme una mummia cui si srotolano le bende, un po' di qua ed un po' di là, il wonton informe sparge pezzi di tristezza.
Gli spaghetti croccanti, tipici della regione di Shanghai, arrivano avvolti da un denso quanto insipido sugo di verdure, freddi ed incollati in una massa inestricabile.
Assolutamente insignificante il pesce (ma quale? Forse una sogliola costipata?), mentre l'anatra con funghi e bambù avrebbe potuto essere chiamata pelle d'anatra con miraggio di polpa e bambù.
La mia fidanzata, che aveva ordinato l'anatra agrodolce, è costretta a lasciarne metà nel piatto per la pastella nauseante.

Infine, i dolci non sono male: sono confezionati!!

Conto: 40,70€ in due, con offerta di digestivo. Sarà anche poco per il numero di comande ma...what you get is what you pay for, sì, una sola volta però.

Servizio: 4/4
Cibo: 2/9
Locale: 5/6
Sintomi strani: No

Giudizio finale: 12/20 – Bettola (è un peccato per il locale, ma tutto il resto...)

Ristorante Cinese Pizzeria Città D'Oro
Corso Tortona 2
10153 – Torino
011/8126530
Giorno di chiusura: Lunedì

giovedì 25 novembre 2010

Breve storia della ristorazione cinese a Torino (della serie: da dove veniamo, chi siamo, dove andiamo...)

La comunità cinese di Torino è la più antica d'Italia e la terza d'Europa dopo Parigi e Londra, figlia di quegli operai cinesi importati durante la I Guerra Mondiale come lavoratori nelle fabbriche svuotate dai giovani, soprattutto francesi, mandati a concimare le trincee. E' ancora possibile, per i più curiosi, visitare il primo negozio cinese aperto in città e sito sotto la Galleria Umberto I - interessante specialmente per i giochi da tavolo orientali e le ceramiche. Ad essa si aggiunsero poi le ondate degli anni '60-'70 provenienti da Hong Kong e dal Sudest asiatico e degli anni '90 dalla Cina costiera.
Il mondo dei ristoranti cinesi in città ha subito, nel corso dei decenni, diverse evoluzioni, senza la comprensione delle quali non se ne capiscono le caratteristiche di oggi. A cavallo tra i '70 e gli '80 aprono i primi locali storici: King Hua, Hong Kong, Mister Hu, Via della Seta e Zheng Yang. La cucina ed i prezzi erano su livelli non proprio popolari e, forte la loro novità e rarità, costituivano un vero ed esotico diversivo alla stagnante situazione gastronomica degli anni cupi.
All'inizio degli anni '90, i successi commerciali dei pionieri spingono altri imprenditori cinesi a buttarsi nell'industria della ristorazione. L'offerta è più che decuplicata ed i prezzi crollano a fronte di una concorrenza agguerrita in tutte le circoscrizioni. L'altro lato della medaglia è però un generale abbassamento della qualità e del decoro dei locali. I cuochi di questa generazione sono in maggioranza autodidatti ed ex contadini, scappati dalle espropriazioni seguite all'industrializzazione della provincia cinese di Zhejiang, luogo di provenienza del 95% della comunità orientale di Torino.

Tra la seconda metà degli anni '90 ed i primi del XXI secolo la marea montante dei kebabbari si sostituisce al ristorante cinese come fornitore di pasti easy ed a basso costo nei quartieri come in centro. Molti dei cinesi aperti durante il boom chiude o, meglio, riconverte i propri investimenti per seguire la nuova moda ed impiega personale magrebino o egiziano.

Nel fermento e nella rinascita di Torino degli ultimi anni si assiste a due trend separati: la sostituzione completa (nel caso di Hong Kong, diventato Sakura) o parziale di nomi storici della ristorazione cinese con menù giapponesi e dai rislutati perlopiù modesti e la mancanza di aperture di nuovi locali.
Il settore soffre, a mio avviso, di una certa letargia rispetto alla doverosa evoluzione verso una ristorazione di qualità, che punti sulla tradizione più autentica delle cucine regionali, sull'uso di ottime materie prime e su una strategia di marketing che dissipi la nebbia di stereotipi che ancora avvolge i ristoranti cinesi.

Certo è, che scandali più o meno recenti, come la notizia del 7/11 della denuncia del proprietario del Ben Da in pieno Quadrilatero Romano (!!!) in seguito alla scoperta di una sessantina di chili di merce avariata tra carne e pesce,non possono che far riflettere sul bivio di fronte al quale si trova la cucina cinese locale. Personalmente, spero che l'intelligenza imprenditoriale di alcuni operatori (guarda caso, tutti "grandi vecchi") del settore possa fungere da esempio per il rilancio dell'immagine in una città che si apre al mondo e che si aspetta molto dai suoi figli.

Forse, vedremo...